Quando sono andata in Brasile diversi anni fa, nella città di Salvador de Bahia, ebbi l’occasione di assaggiare un frutto verde di forma rotondeggiante dal nome Umbù.
L’Umbù (Spondias tuberosa) conosciuto anche come imbù, è un frutto nativo del Nord-Est che cresce nella Caatinga, la macchia tipica della regione semiarida brasiliana (il Sertáo). Il nome deriva dalla parola degli indios tupi-guarani y-mb-u, che significa “albero che dà da bere”. Il ciclo produttivo inizia a partire dai dieci anni e continua fino all’età di duecento anni e oltre. Questo albero spontaneo dalla chioma a ombrello, fruttifica una volta l’anno, arrivando a produrre, nella fase adulta, 300 chilogrammi di umbù. Grazie a un particolare apparato radicale, che forma grandi tuberi capaci di immagazzinare – nella stagione delle piogge – anche due o tre mila litri d’acqua, riesce a resistere alle epoche più siccitose. Una risorsa importante per una delle aree più povere e aride del Brasile, dove l’agricoltura a base di mais, fagioli, manioca e l’allevamento brado di pecore e capre sono soggetti a severe siccità cicliche. L’umbù si raccoglie a mano, delicatamente, e si ripone in borse e secchi (in questi ultimi anni è stata fortunatamente abbandonata la tecnica rovinosa di battere i rami con lunghi bastoni). I frutti sono tondi e possono essere piccoli come una ciliegia o raggiungere il peso di un limone. La buccia è liscia, verde o gialla quando i frutti sono ben maturi, la polpa è succosa, aromatica, agrodolce e all’interno nasconde un grande nocciolo.
In questo periodo ci troviamo proprio nella stagione dell’umbu (dicembre-marzo). Lo stesso periodo in cui, durante il mio viaggio, mi sono imbattuta in venditori che offrivano il frutto dai loro carretti che attraversavano tutta la città di Bahia. Capitava anche di vedere umbu gialli più maturi, meno acidi e più dolci ma non meno deliziosi.
L’umbù si consuma fresco oppure trasformato in numerosi tipi di conserve.
Tradizionalmente si cuoce fino a che la polpa e la buccia si separano. Quindi si cola il liquido, lo si mescola con zucchero di canna e si prosegue la cottura per altre due ore fino a ottenere un’ottima gelatina (geléia). La polpa, liberata dai noccioli e cotta a lungo con lo zucchero, diventa invece una crema densa e lievemente asprigna, una sorta di cotognata (doce).
Dall’umbù si ricavano inoltre il succo, il vinagre (risultato della cottura della polpa dei frutti raccolti sovramaturi), la marmelada (ottenuta sovrapponendo più strati di polpa essiccata al sole) o, ancora, una semplice composta fatta mettendo nei barattoli frutti interi e zucchero (umbu em calda).
La polpa fresca, oppure il vinagre (se non è stagione di raccolta), mescolati con latte e zucchero, sono ingredienti della tradizionale umbuzada, una bevanda energetica che può sostituire il pasto serale. Per dimostrare l’importanza e le potenzialità di questo frutto straordinario – cui fino a pochi anni fa nessuno dava valore – è stato fondamentale il lavoro dell’IRPAA/PROCUC, con l’aiuto della Commissione Europea, della KMB (diocesi di Lins) e del governo austriaco, tramite l’Ong austriaca Horizon 3000. Questi soggetti – impegnati in loco da molti anni per la valorizzazione dei prodotti della Caatinga – hanno accompagnato nel 2003 la nascita della cooperativa COOPERCUC, che produce trasformati di umbù artigianali senza aromi, né conservanti. Grazie alla Fondazione Slow food e all’Ong Horizon 3000, nei primi mesi del 2006, sono nati dieci piccoli laboratori, che consentono una prima lavorazione dei frutti, consegnati poi alla cooperativa.
Il Presidio ha stilato un disciplinare di produzione per garantire l’artigianalità e l’alta qualità dei trasformati e si impegna per valorizzarli e promuoverli sul mercato locale, nazionale e internazionale.
Tanto valeva fare per questo frutto che è l’unico di origine brasiliana e di cui non risulta esservi altra produzione al di fuori del Brasile e che il frutto non esista, sotto differenti nomi, in altri Paesi.
Post di Nella Cerino (Università degli Studi di Scienze Gastronomiche) per l'orto di Michelle
Foto Soren Schumacher
Foto Soren Schumacher
Grazie Nella per averci fatto conoscere questo strano frutto.Alba
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